Storia

L’INQUISIZIONE SPAGNOLA IN SICILIA

Dal 1282 anno della rivolta anti-francese nota come “Vespri Siciliani”, il Regno di Sicilia fece parte della Corona d’Aragona, e da allora e fino a quasi tutto il XVII secolo la storia politica dell’isola fu strettamente legata a quella della Spagna, che istituì a Palermo il Tribunale del Sant’Uffizio, a differenza del resto di Italia, dove invece operava l’Inquisizione romana.

IL TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE (1602-1782)

Il tribunale, fondato in Castiglia nel 1478 con lo scopo di perseguire le eresie giudeo converse, venne esteso alla Sicilia nel 1500, tramite l’invio dei primi inquisitori a Palermo. Il Palazzo Reale di Palermo fu la prima sede del Tribunale dell’Inquisizione, ma nel tempo fu ospitato all’interno di diversi luoghi della città: il Castello a Mare, il Palazzo Marchese e Palazzo Ayutamicristo.

Infine, nel 1602 il tribunale si trasferì definitivamente all’interno dell’antica dimora della nobile famiglia dei Chiaromonte, detto lo Steri (da Hosterium). Alle spalle del palazzo venne costruito l’imponente edificio dall’architettura severa, che ospitò le carceri segrete fino al 1782, anno dell’abolizione del tribunale. Qui furono imprigionati più di seimila persone fra giudeo-conversi, rinnegati, apostati, negromanti, streghe, protestanti, molinisti, bigami, guaritori e guaritrici.

I GRAFFITI DELLE CARCERI

I prigionieri hanno scritto e disegnato la loro sofferenza sulle pareti delle celle, dando vita ad un’opera collettiva di inestimabile valore storico e umano, con un repertorio iconografico di straordinario valore universale. Realizzati con fumo di candela, carboncino, polvere di mattoni d’argilla mista a latte, albume, cera o materiali organici come sangue ed urina, i graffiti raffiguravano immagini di diversa natura: crocifissi, madonne, santi, figure e scene bibliche, carte geografiche, velieri, galeoni, battaglie, scudi e bandiere tipici della guerra corsara del Seicento. Numerosi i disegni raffiguranti architetture urbane e paesaggi: castelli, torri, dame e cavalieri, viali alberati, monumenti e balconate con fiori, piante e decorazioni barocche. Infine scritte in diverse lingue: latino, italiano, inglese, siciliano ed ebraico, testimonianza dell’alto livello culturale dei prigionieri. Si trovano inoltre versetti, salmi, preghiere, nomi, date, esortazioni, consigli, moniti: Coraggio! Non avere paura, io povero! manca anima…NEGA!

LA SCOPERTA (1906)

I graffiti, nascosti e dimenticati sotto stati di intonaco, furono riscoperti grazie all’etnologo siciliano Giuseppe Pitrè, nel 1906. Pitrè scrostò personalmente l’intonaco dalle pareti fino a scoprire tre celle interamente ricoperte di scritte, disegni e graffiti. Sfortunatamente, i graffiti vennero nuovamente coperti e dimenticati. Negli anni Settanta, a seguito della decisione di trasferire allo Steri gli uffici del Rettorato dell’Università di Palermo interviene lo scrittore e giornalista Leonardo Sciascia denunciando lo stato di incuria in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera: “mucchi di polvere e cartacce, i vetri rotti, le imposte sconnesse. I colombi vi fecero nido, a nugoli. I topi vi si bearono, a legioni. Nella grande sala dal soffitto di legno dipinto, impareggiabile espressione della cultura di un’epoca… era un continuo frullar d’ali e frusciare, tra carte e rifiuti, di topi”. In seguito i lavori vennero successivamente affidati all’architetto veneziano Carlo Scarpa, che aveva già restaurato Palazzo Abatellis.

Solo nel 2003, grazie al restauro finanziato dall’Università di Palermo, i graffiti tornarono alla luce. Alle tre celle scoperte da Pitrè se ne aggiunsero altre, per un totale di 13 celle dislocate in due piani. Maria Sofia Messana ne studiò il contenuto, ricostruendo le storie di molti dei detenuti. Le carceri sono attualmente oggetto di numerosi studi e indagini internazionali.