Virginia di Bari

Una delle prime cose che i bambini imparano a disegnare è la casa. Casa come insieme di forme: un quadrato come base, un triangolo come tetto, un rettangolo come porta. Si tratta di un vocabolario elementare, essenziale dove pochi e semplici elementi geometrici sono sufficienti per costruire un’immagine. Lo sa bene anche Peter Halley (New York, 1953), figura chiave del neo-concettualismo e neo-minimalismo americano del secolo scorso, che ha fatto della geometria visiva la cifra della sua espressione artistica. La sua opera è il tentativo riuscito di trascendere la mera forma. Superando così il minimalismo, che rivendicava la non-oggettualità delle forme e la loro non relazione con il mondo esterno, Halley affida all’immagine un referente. Nelle sue opere iconiche sulle prigioni Prison & Cell, l’artista newyorkese esplora la ripetizione, la composizione e l’evoluzione delle forme geometriche. Riflettendo con queste, e interpretandole come spazi del pensiero, evoca attraverso di esse altre forme e strutture: quelle coercitive di controllo sociale, ossia celle e carceri. Instaura così una relazione tra la geometria astratta, l’astrazione geometrica e il mondo in cui viviamo, e connette noi «esseri senza confini che vivono di confini» alla condizione di isolamento propria delle nostre stesse esistenze.

Peter Halley, Prigione con condotto, 1986.
Acrilico, acrilico fluorescente, Flashe,
e Roll-a-Tex su tela, 147 x 284 cm. © Peter Halley

Da una parte infatti, adoperando tale linguaggio costituito da forme ripetitive, ci mostra come la geometria per prima sia fatta di forme finite e determinate, e appaia così come uno spazio di costrizione che limita le nostre possibilità espressive. «Lavorando a questo progetto per un paio d’anni» – afferma l’artista in un’intervista con Giancarlo Politi nel 1990 – «cominciai a sentirlo come un modo piuttosto sintetico per esprimere lo spazio della nostra cultura». Ma dall’altra vi è un superamento di questo, e un’apertura a campi di possibilità inediti. «Avendo cominciato a guardare alla geometria in termini di restrizione o segmentazione, il passo successivo è stato il controllo del movimento in questo spazio e i modelli di connessione che esistevano tra questi spazi isolati».  Allo stesso modo allora in cui i bambini, dopo aver imparato a tracciare la struttura base della casa, aggiungono pian piano nuovi elementi, come finestre e camini, Halley nella sua evoluzione artistica inserisce fili, condotti, ciminiere. Immagina quindi connessioni, ponti di linee a formare altrettanti incroci, e collegando i quadrati tra loro trasforma le sue Prison & Cell in Prison & Cell with Smokestack & Conduit.

Peter Halley, Overcomer, 2019.
Acrilico, acrilico fluorescente, e Roll-a-Tex su tela,
152.5 x 170 cm. © Peter Halley

Il lavoro di Halley ci costringe in questo modo non solo a fissare dei muri, ma ad allenare lo sguardo per intravedere gli spazi e le fessure che si aprono tra i quadrati, nel mezzo, come vie di fuga o di evasione. Ci invita a osservare lo Zwischenraum, lo spazio compreso tra quelle prigioni colorate. Ciascuna con la propria atmosfera, porta con sé la possibilità di essere vissuta in modo unico e diverso, illuminando così un piccolo spazio di libertà. E di espressione.

Peter Halley, Prigione blu, 2020.
Acrilico, acrilico fluorescente, e Roll-a-Tex su tela,
112 x 112 cm. © Peter Halley

«Lo spazio che mi interessa è lo spazio umano, lo spazio che gli esseri umani si costruiscono». Anche se troppo spesso ci dimentichiamo di considerarlo tale, Halley sembra ricordarci metaforicamente che spazio umano è allora anche quello ristretto, di quel nome comune: casa. Lo spazio delle case circondariali e delle case di reclusione.


Riferimenti bibliografici

                                                        

A. Del Puppo, L’arte contemporanea. Il secondo Novecento, Torino 2013.

M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino 2014. 

P. Halley: Paintings of the 1980s The Catalogue Raisonne, catalogo della mostra, Ginevra 2019.

Giancarlo Politi (intervista di), Peter Halley, Flash Art, N. 150, January – February 1990.

G. Simmel, Ponte e porta. Saggi di estetica, Bologna 2011.